sabato 12 marzo 2011

Racconti gay: strangers on a bus

Mai mi sarei aspettato che sarebbe andato tanto per le spicce.
Sì, c’eravamo scambiati sguardi, è vero, sguardi inequivocabili. Subito dopo le fredde lame dei suoi occhi azzurro ghiaccio – hai gli occhi di un husky siberiano, gli avrei sussurrato qualche ora dopo, con la testa abbandonata sul suo petto e le sue dita infilate fra i miei capelli – il mio sguardo si era posato sulle labbra, quello splendido paio di labbra carnose perfettamente disegnate, appena un poco schiuse, appena un poco piegate in un sorriso, il sorriso di chi aveva già stabilito la sua volontà nei miei riguardi…

C’era stato tutto questo è vero, nella corta diagonale di due opposti sedili di uno scompartimento ferroviario, ma mai mi sarei aspettato che sarebbe bastato un autobus notturno completamente vuoto, una volta giunti a destinazione, e noi seduti in fondo, vicini, per sentire la sua mano grande, enorme, le sue cinque lunghe dita chiudersi sopra il mio pacco – con gentilezza, sì, ma con decisione, come chi sappia ciò che deve fare e lo faccia, senza tentennamenti, senza dubbi, calmo e deciso… Avevo messo la mia mano sopra la sua, l’avevo affondata fra le mie cosce e l’avevo accompagnato in quel movimento di stretta e allentamento che ripeteva sempre più veloce esercitando ogni volta una pressione un po’ più forte - avevo chiuso gli occhi intanto, con l’altra mano mi tenevo al seggiolino avanti, le labbra serrate, con la paura che da un momento all’altro mi sfuggisse un gemito, e dentro la voglia gridare forte continua, continua ti prego, non fermarti più…
Era stato poi nell’ascensore che mi aveva infilato la sua lingua in bocca – morbida, dolce, lenta e sinuosa, senza fretta eppure inesorabile… Nel breve tragitto tra la fermata dell’autobus e casa sua non avevamo detto una parola, ma lui aveva fatto scivolare un braccio dietro la mia schiena e mi aveva infilato una mano nella tasca posteriore dei jeans, così, con disinvoltura, come se ci conoscessimo da sempre, come se fossimo una vecchia coppia, e ora sembrava tenermi a sé e dirigermi con la sola leggera pressione delle dita sul mio fondoschiena. Io mi tenevo stretto a lui come stordito, e mi lasciavo portare ansimando, a testa bassa, senza guardarlo, come un automa, come una bambolina priva di vita propria che aspetti di ricevere impulso e movimento dal suo burattinaio…


Come aveva fatto tutto ad accadere così in fretta?
Solo dietro la porta d’ingresso richiusa dietro le nostre spalle, col cuore che mi batteva a mille e il pacco che sembrava sul punto di scoppiarmi, nella semi-oscurità di uno stanzone che intuivo spoglio di arredamento attorno a me, freddo e vuoto, che riceveva la sua unica
blanda luce dalla finestra di una stanzetta attigua con la porta aperta, solo allora, senza accendere luci, aveva fatto sentire la sua voce: calda, profonda, grave, una voce di petto, corporea quasi, la sentii entrarmi dentro come un’onda e scendere giù fino allo stomaco, farsi largo dentro la pancia, le viscere e più giù, fino al sesso…

- Inginòcchiati.
Nient’altro. Solo un tranquillo e imperioso inginòcchiati: non come di chi non ammetta repliche, ma come chi sappia di non averne alcun bisogno…
Eravamo uno di fronte all’altro, lui appoggiato di schiena contro la porta. Gli avevo messo una mano sul petto. Sotto la maglia leggera il torace era ampio e in rilievo. Lui l’aveva afferrata con delicatezza, e lentamente, facendosela scivolare addosso, se l’era portata sul pacco, schiacciandola su di esso. Stavolta non avevo potuto reprimere un gemito di piacere e di sorpresa e solo in quel momento, nel permettermi quel gemito, avevo realizzato che adesso ero completamente solo con lui, lontano da tutto e da tutti – la bambolina nelle mani del suo burattinaio…, mentre una nuova ondata di piacere e di paura insieme mi attraversava dalla testa ai piedi.
- Inginòcchiati. Subito.
Mi disposi a sedere sui talloni, stringendo con le mani le sue cosce tornite, un po’ sopra le ginocchia. Il mio viso era a un palmo dal suo pacco, ora. Con calma, con gesti privi di qualsiasi concitazione o frenesia, slacciò il bottone dei jeans, divaricò i due lembi schiudendo la zip completamente (ah, quel suono breve e inconfondibile che mille volte avevo sognato!), infilò le dita all’altezza dei fianchi e abbassò insieme jeans e boxer bianchi fino a metà della coscia. Il suo pene era lungo, carnoso, robusto e forte come un bastone da montagna. Ebbi appena il tempo di deglutire prima che la sua voce risuonasse di nuovo:
- Che aspetti, avanti. Onora lo scettro del tuo signore e padrone…